Un dipendente non deve essere continuamente reperibile né sentirsi costretto a leggere mail o messaggi di lavoro al di fuori del proprio ufficio. E se lo fa, deve essere retribuito. È questo, in sostanza, il contenuto della proposta di legge depositata alla Camera dal Partito democratico e firmata dal deputato Arturo Scotto.
Il testo punta a introdurre una volta per tutte in Italia il diritto alla disconnessione, ovvero il diritto a non rispondere a comunicazioni lavorative nel momento di riposo, disconnettendosi, appunto, da piattaforme e strumenti tecnologici. A spiegare, a Fanpage.it, le motivazioni alla base del testo di legge e le differenze rispetto alla normativa sul lavoro agile attualmente in vigore, è la vicepresidente della Camera Anna Ascani, tra le prime sostenitrici della proposta.
Onorevole Ascani, bentornata nella redazione di Fanpage.it. Innanzitutto, partirei con il chiarire un primo punto: che cosa intendiamo quando parliamo di diritto alla disconnessione?
Parliamo di un diritto, di questi tempi attualissimo, perché parliamo della necessità di distinguere la vita privata dal lavoro. Abbiamo vissuto fasi complicatissime di interconnessione. La pandemia è stata anche questo e sicuramente ci ha aiutato a migliorare alcune performance lavorative, però questa cosa ha rotto la barriera che deve esistere tra il tempo di lavoro e il tempo di riposo, anche per ottimizzare il tempo di lavoro. Quindi il diritto a disconnettersi, cioè a non rispondere a comunicazioni lavorative nel momento del riposo o essere retribuiti, per il momento di lavoro che si dedica al lavoro è qualcosa che va introdotto, che viene sempre di più riconosciuto e anche in Italia è giusto che faccia la sua parte.
Il Partito democratico ha depositato una proposta di legge che sancisce il diritto del dipendente a non essere reperibile al di fuori dell’orario di lavoro. Può riassumerci brevemente che cosa prevede e quali sono le ragioni che vi hanno spinto a formularla?
Anzitutto definiamo le finalità che sono proprio queste, cioè stabilire un limite al tempo che noi dedichiamo al lavoro e un limite che invece riguarda la vita privata. Questo ci aiuta anche a comprendere che questi strumenti che ormai pervadono la nostra quotidianità, i nostri telefonini, gli iPad, i computer, sono preziosissimi per farci lavorare meglio, ma rischiano di farci lavorare troppo e a volte anche peggio. Quello che noi diciamo è appunto questo: un lavoratore non può essere tenuto ad essere continuamente reperibile e quando non deve essere reperibile non può essere obbligato a leggere comunicazioni di lavoro e questo deve essere stabilito. Se questo accade, invece, quel lavoro va retribuito come tale, perché è lavoro vero e proprio. Leggere una mail fuori dall’orario propriamente indicato è lavorare e quindi come lavoro va retribuito. Questo è quello che abbiamo sostanzialmente scritto nella proposta a prima firma del mio collega Arturo Scotto, firmata anche dalla capogruppo Braga e da tanti deputati e deputati del Pd, su cui spero convergano le forze di opposizione, ma anche quelle di maggioranza.
In realtà, la legge sul lavoro agile già riconosce il diritto per i lavoratori di disconnettersi da strumenti e piattaforme. Che cosa prevedete di diverso?
In realtà quella legge per una forma di burocrazia mal letta, mettiamola così, rischia di fare peggio perché non riconosce il vero e proprio diritto alla disconnessione. O meglio, non riconosce il fatto che se lavori fuori dall’orario devi essere retribuito per quel lavoro. In qualche modo viene lasciato al lavoratore o peggio, una contrattazione non tra pari, perché lì si stabilisce che l’orario di disconnessione vada definito tra lavoratori e datori di lavoro, non in un contesto tra pari, ma effettivamente in un contesto di svantaggio per il lavoratore. Quello che noi diciamo è che la legge nazionale deve invece tutelare a priori i lavoratori e stabilire sin dal principio che se lavori devi essere pagato per il lavoro che fai e che comunque l’orario di lavoro deve essere definito. Non è perché siamo sempre connessi per gli affari nostri che dobbiamo essere sempre connessi col nostro posto di lavoro.
In più di un’occasione il governo Meloni ha aperto a iniziative simili come quelle sulla riduzione dell’orario di lavoro, ma finora non ci sono stati grandi passi in avanti. Lei cosa ne pensa?
Il governo Meloni fin qui i lavoratori li ha tenuti in ogni modo possibile, limitando di fatto la possibilità di esprimersi, di esprimere le proprie opinioni. Insomma, ha fatto norme liberticide in tutti i settori e certamente il mondo del lavoro non fa eccezione. Io mi auguro che il governo su questo apra gli occhi perché penso che questo tema riguardi tutti i cittadini e le cittadine. Tutti siamo iperconnessi e tutti percepiamo che questo invade la nostra vita privata, che il fatto di ricevere una mail di lavoro magari quando siamo usciti e siamo a fare la spesa o con i nostri amici, in qualche modo ci impedisce di vivere appieno le nostre vite e fa sì che anche il nostro lavorare alla fine sia peggiore. Quindi, se vogliamo guardare la produttività, che è il grande mantra cui sembra si debbano orientare tutte le normative, ecco anche la produttività, a giudicare dagli studi su queste cose, sembra risentirne. Nel momento in cui gli orari non sono ben definiti, alla fine quello che si produce lavorando e meno che se invece gli orari sono chiari e definiti, così come i doveri, i diritti e la paga per quello che si fa.
Come sulla settimana corta, dove Pd M5s e Avs hanno presentato tre diverse proposte, anche in questo caso servirà un accordo tra le opposizioni.
Sarà molto importante. Noi in realtà abbiamo raccolto il lavoro di un’associazione, l’ AsSociata e di un movimento, Lavoro poi stacco, che è un movimento nato da ragazzi e ragazze che hanno sentito questa esigenza. Perché sono soprattutto i più giovani a percepire questa invasione della loro vita privata da parte di un lavoro che ci rende tutti iperconnessi, anche oltre quello che è previsto dal contratto di lavoro. Io mi auguro che si possa ragionare a partire da lì, dal lavoro di ascolto che questi ragazzi hanno fatto e dalla scrittura di questa proposta, che noi abbiamo colto e aggiustato utilizzando il linguaggio parlamentare, con un contributo burocratico dall’interno. Però la sostanza viene da lì, da un lavoro che è stato fatto e che secondo me va valorizzato da parte di tutte le forze di opposizione. Credo che su questo si possa trovare un’intesa da cui si possa partire insieme per sancire un diritto che in fondo tutti riconosciamo, ma che a questo punto deve trovare spazio nella legislazione.