Nella partita globale dell’IA, USA e Cina si muovono con decisione. L’Europa finalmente reagisce con investimenti significativi. L’Italia rimane indietro: governo assente al summit di Parigi e fermo sull’unico progetto di legge
Le ultime settimane sono state segnate da importanti e repentini mutamenti a livello geopolitico. E non solo. I grandi del mondo, gli Stati Uniti della nuova era Trump e la Cina, hanno mosso con decisione le proprie pedine per accaparrarsi nuove fette di mercato e di potere nel campo dell’intelligenza artificiale, settore nel quale rappresentano già delle super potenze sostanzialmente incontrastate.
Trump ha recentemente annunciato un investimento di 500 miliardi di dollari per Stargate, infrastruttura necessaria per l’IA. Mentre l’onnipresente Elon Musk – che il Presidente americano ha messo alla guida del DOGE, il dipartimento per l’efficienza del governo che si sta caratterizzando per i tagli indiscriminati e molto contestati – ha provato a mettere le mani su OpenAI guidata da Sam Altman (il quale però ha risolutamente rifiutato l’offerta).
La Cina non è rimasta a guardare, lanciando DeepSeek, “l’utilitaria dell’IA”, come è stato definito il software open source ideato per competere proprio con le big americane. Un’innovazione che – pur non rispondendo alle regole delle quali l’Europa si è dotata sul trattamento dei dati, al punto da suscitare l’intervento del nostro Garante della privacy – ha aperto degli spiragli: ha dimostrato che non servono capitali immensi per rompere un monopolio e competere con i grandi dell’IA. Né tempi eccessivamente lunghi.
L’Europa insegue. O almeno ha cominciato a farlo, visto che finora è stata silente o comunque impegnata più che altro nella regolamentazione di sistemi e piattaforme sviluppati altrove.
Il summit di Parigi di inizio febbraio è stato un punto di svolta importante e non secondario. L’Unione si è mossa per essere protagonista della partita, per avere un’IA propria, europea. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha annunciato un piano che prevede 20 miliardi per le gigafactory e punta a mobilitare 200 miliardi attraverso la cooperazione tra pubblico e privato. E soprattutto che risponde a dei principi irrinunciabili di eticità e inclusività.
“La leadership globale dell’IA è ancora in gioco, l’Ue non è in ritardo”, ha affermato durante il vertice. Parole che suonano come una rivendicazione di autonomia e indipendenza dai neo-feudatari del Terzo millennio di cui ha parlato anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Marsiglia definendoli “novelli corsari a cui attribuire patenti – che aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica”.
L’Europa ha finalmente preso una posizione insomma. Nessuna subordinazione o vassallaggio felice. Consapevolezza della sfida e coraggio per affrontarla. Con un progetto fondato su valori democratici, rispettoso dei diritti delle persone, sul quale convogliare un investimento importante e il nostro capitale umano altamente qualificato.
E, all’interno dell’Unione, il Presidente francese Macron – padrone di casa del vertice sulla governance globale dell’intelligenza artificiale – ha mostrato un deciso protagonismo. Investimenti per 109 miliardi di euro (l’equivalente in rapporto alla Francia di quelli annunciati da Trump per Stargate, come ha rivendicato lui stesso), identificazione di siti per i data center nel Paese, potenziamento del sistema di ricerca e sviluppo e formazione di 100mila esperti nel settore nei prossimi anni.
Un’agenda ambiziosa, che purtroppo in Italia non esiste. Tanto è vero che Giorgia Meloni non solo ha lasciato fermo per un anno l’unico progetto di legge presentato sul tema (annunciato in pompa magna durante il G7 in Puglia), ma ha persino disertato il summit parigino. Per non rischiare di fare indispettire l’amico Musk ha infatti mancato l’appuntamento, confermando un sospetto già diffuso, ovvero che l’intelligenza artificiale – come qualsiasi politica di sviluppo – non è una priorità di questo governo. Un errore gravissimo, che rischiano di pagare gli italiani.
Segnali inequivocabili dell’inerzia del governo. L’esecutivo – nonostante le affermazioni del ministro Urso e del Sottosegretario Butti – evidentemente preferisce restare dipendente da qualche super potenza invece di aprire una via italiana ed europea all’intelligenza artificiale.
E questo è grave. Soprattutto in un momento come questo in cui si è ormai rotta l’illusione che l’innovazione tecnologica sia per forza democratica. Oggi i pochi che hanno accesso a enormi quantità di dati guadagnano moltissimo e sono anche in grado di determinare alcuni processi rilevanti che riguardano le nostre democrazie. E la questione diventa più intricata e preoccupante se ragioniamo in termini di oligopoli e di strette connessioni tra super potenze globali e big tech. Musk in particolare da qualche tempo si sta distinguendo per inaccettabili ingerenze nelle sovranità nazionali europee, sta portando avanti un tentativo di frammentare l’Unione attraverso alleanze con i partiti dell’ultradestra che di fatto hanno sempre combattuto l’idea di un’Europa unita.
Richiamare l’attenzione su ciò che sta avvenendo non vuole dire candidarsi a essere profeti di sventura. Ma al contrario mettersi nelle condizioni di difendere la nostra democrazia da attacchi diretti o meno. Non lasciare il fianco scoperto. E quindi è importante esserci. Essere presenti laddove si definiscono i piani d’azione strategici. Adoperarsi per rafforzare le regole che abbiamo già – come l’AI Act in parte entrato in vigore nelle scorse settimane – e per definire come rendersi più competitivi.
Nel nostro Paese non mancano iniziative, come quella avviata alla Camera dei deputati, di analisi e sperimentazione dell’intelligenza artificiale generativa secondo principi e standard di trasparenza, inclusività, rispetto dei diritti, contenimento dei rischi per i cittadini. Iniziative portate avanti confrontandosi e coinvolgendo le menti migliori, esperti, il mondo dell’università e della ricerca. E non manca il capitale umano. Quello che manca è invece un coraggioso e organico piano industriale. Sulla scorta del modello francese, che ha il pregio di squarciare il velo dell’impotenza: l’Europa, gli Stati che la costituiscono possono essere competitivi.
In passato, su diversi fronti, come Unione europea, siamo rimasti indietro, dai social network al cloud. La partita dell’intelligenza artificiale è ancora in gioco e dobbiamo recuperare le distanze per competere e per eliminare i rischi concreti riguardo la tenuta delle nostre comunità.
L’Ue ha scelto di giocarsela fino in fondo. L’Italia – che di quella Unione è un Paese fondatore –, e nello specifico il governo, mostri di essere all’altezza, di prendere parte. Non solo a parole. Di partecipare con risorse professionali ed economiche. Decidere di tenersi fuori è un errore strategico imperdonabile.